Come nasce FIABA? Quando alla fine degli anni ’90 abbiamo pensato di far nascere FIABA, qualcuno ci ha detto: “Che eravate pazzi lo sapevamo. Ma col passare degli anni vi siete completamente rincitrulliti”. Dopo tre mesi avevamo la Presidenza del Consiglio che aveva riconosciuto la nostra Giornata Nazionale per le Barriere Architettoniche. Insieme alle persone che mi erano accanto, ero convinto di quello che facevo. Avevo maturato una forte esperienza nel mondo dello sport per le disabilità, e negli anni ’70-’80 era tutta utopia, parliamo delle persone disabili che volevano essere atleti. Alle Olimpiadi. Eppure è stato fatto. Così, dodici anni dopo, siamo qui a raccontarlo, più grandi, più forti, con molti riconoscimenti. Dietro c’è un grande lavoro di sensibilizzazione, di comunicazione e di competenza. Grazie ai pochi folli che lanciano l’idea, e ai moltissimi altri che li seguono.
Quali sono gli obiettivi di FIABA?
Noi stiamo lavorando per l’abbattimento delle barriere architettoniche, ma non solo. Quello che è più importante, oggi, è abbattere le barriere culturali del pregiudizio. Bisogna apportare un grande cambiamento. Cambiamento nelle persone, nelle loro coscienze, nella loro cultura, nel loro modo di pensare. Bisogna abbattere tutte le barriere esistenti: architettoniche, culturali ed etiche. Il FIABA Day è il nostro strumento principale, per convenzione si svolge ogni anno la prima domenica di ottobre. È una giornata per grandi e piccini ricca di intrattenimento, attività, esibizioni.
Qual è l’atteggiamento giusto per realizzare il cambiamento che Lei auspica?
Dobbiamo pensare che bisogna progettare le strade, i palazzi, le attività commerciali, i luoghi turistici per tutti. Se gli ambienti sono comodi per tutti, abbiamo risolto i problemi anche a quelle fasce di persone con ridotta mobilità e alle persone con disabilità. Se costruiamo le città pensando agli esseri umani, ognuno nella propria diversità e individualità, risolviamo i problemi a chi ce li ha e facilitiamo le persone che non ne hanno. Bisogna fare in modo che l’accessibilità sia un comfort a cui nessuno vuol rinunciare.
Quali sono le difficoltà più grandi che una persona a ridotta mobilità incontra vivendo la città?
La barriera più grande è l’atteggiamento mentale e culturale delle persone. I pregiudizi, il pensare solo a sé stessi provoca l’isolamento dell’individuo. Nessuno può pensare di bastare a sé stesso.
Che cos’è in poche parole l’accessibilità?
L’accessibilità è la qualità percepita dello spazio da tutte le persone che vivono quotidianamente le nostre città. Mi vengono sempre in mente le immagini dei viaggiatori: quanto è difficile salire su un treno se hai in mano una valigia, spingi un passeggino e magari piove e devi tenere l’ombrello? Diventa una corsa ad ostacoli.
Quali sono gli indicatori per misurare la qualità percepita di un territorio?
Gentilezza, educazione civica, rispetto, il sorriso. Le buone maniere. L’accoglienza. Per ottenere una qualità percepita diffusa, questi atteggiamenti dovrebbero essere messi in pratica in maniera universale su quel territorio. Più eleviamo la qualità percepita e più il vecchio è scomodo.
Cosa si può fare per semplificare la vita delle persone diversamente abili e di tutte le persone in generale?
Bisogna pensare all’accessibilità in fase progettuale. Negli ultimi trenta anni abbiamo avuto una forte accelerazione nel campo delle innovazioni. I progettisti hanno l’obbligo morale – e legislativo- di pensare agli spazi come spazi per tutti.
Qual è la parola d’ordine della buona progettazione?
Progettazione “a scale zero”. Questo non significa non avere scale, sarebbe impossibile. Piuttosto significa munire di ascensori o percorsi alternativi tutti gli spazi che si sviluppano in verticale. Il cittadino, in base al suo stato psico-fisico, o in base ai carichi che in quel momento sta trasportando, abbia la libertà di scegliere se fare le scale o se utilizzare il percorso alternativo. Noi non ci rendiamo conto, ma oggi l’ascensore è il mezzo di trasporto più utilizzato al mondo.
Chi sono i soggetti maggiormente coinvolti?
Architetti, ingegneri, geometri, i tecnici dei comuni: dirigenti e supervisori. Sono loro che rilasciano le autorizzazioni, dunque è indispensabile coinvolgerli e sensibilizzarli alla progettazione universale. Le istituzioni hanno una grande responsabilità in merito al rispetto delle normative vigenti relative alla costruzione di nuovi edifici. Tutta la popolazione ha diritto a vivere in spazi facilmente fruibili. Ma soprattutto un messaggio particolare va ai nostri Sindaci. Il Sindaco è il Primo Cittadino, è lui che deve pensare a migliorare la qualità percepita degli spazi cittadini. Non solo per chi vive in città, ma anche per attrarre turisti in un territorio accogliente, confortevole.
Qual è il messaggio più importante da trasmettere?
Oggi le televisioni, i giornali, i media in generale bombardano le persone di cattive notizie. Sembra che una buona notizia non faccia notizia. Credo che bisogna modificare i messaggi che passano: mettere in rilievo le persone che lavorano bene, le buone pratiche, gli obiettivi che nel campo sociale si raggiungono. Questo aiuterebbe ad avere maggiore fiducia nel cambiamento. Le persone educate, rispettose, che si impegnano e lavorano per migliorare il livello della vita esistono. Parlando di accessibilità, se voglio raccontare la vivibilità di una città, non parlerò di ciò che non è stato fatto. Piuttosto racconterò di quello che è fatto bene, stimolando così la voglia di altri soggetti di seguire quella strada. Inizia così un processo culturale che esalterà le ‘buone azioni’.
Noi ringraziamo il Presidente Trieste per il lavoro che svolge quotidianamente presso FIABA. Il nostro augurio è quello che realtà come questa siano sempre più fiorenti sul territorio.
QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU ORIONE N.3, “ACCESSIBILITÀ”, NELLA SEZIONE INTERVISTA — AGOSTO 2014
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