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Per la mia intervista per questo numero, la preparazione è stata lunga e certosina.

Mi sono assicurata di avere nella mia borsa-da-reporter il taccuino con una penna che scrivesse, la macchina fotografica, il registratore vocale, le pile di ricambio in caso di pile scariche -poi mi sono accorta solo in fase di sbobbinamento di non aver premuto il tasto rec, quindi mi perdonerete se le risposte dell’intervistato non sono trascritte letteralmente ma sono il frutto della mia memoria. Ho comprato della pregiata cioccolata da offrire in dono al vecchietto che avrei incontrato. Ho indossato un cappotto molto pesante: in Lapponia, quando è inverno, è inverno per davvero -hanno registrato minime di meno trentacinque gradi. Ho dovuto prenotare con largo anticipo una slitta con delle renne abbastanza simpatiche e disponibili da portarmi a destinazione: sapete, di questi periodi sono molto indaffarate e sempre un po’ scontrose. Hanno preteso come pagamento un quintolitro di licheni — ne sono veramente ghiotte e, per essere gentile, ho lasciato loro una mancia degna del miglio buffet: millefoglie di salice e betulla con scaglie di funghi e un po’ di zucchero a velo. E, con cappello di lana ben calato sulla testa, sono giunta a destinazione tra campanellini risuonanti — chissà dove erano appesi — e fiocchi di neve sorridenti. Alla porta, dopo un tempo infinito, compare lui, Joulupukki, anche detto JulemandenDeda MrazSinterklaasViejito Pascuero — per motivi di brevità non vi elencherò il suo nome in tutte le lingue del mondo —, Santa Claus o semplicemente Babbo Natale. Mi fa accomodare davanti al suo camino, la camera è piena di giocattoli di ogni forma, dimensione e colore: per la prima volta vedo colori che non credevo potessero esistere. Mi mette subito a mio agio con una tazza di fumante cioccolata calda, si accomoda in poltrona, intreccia le mani sul pancione e mi guarda, aspettando la mia prima domanda che non tarda ad arrivare, non mi sento intimidita e lo guardo un po’ rapita.

Le piace il Suo lavoro?

Si, mi piace molto. Portare i regali ai bambini è un compito arduo e richiede impegno e professionalità. Sa, tutti quegli indirizzi… abbiamo preso sulla slitta l’ultima tecnologia esistente per geolocalizzare le case: un pipistrello-radar incapace di perdersi, i gusti diversi, i camini in cui devo calarmi alcuni sono veramente molto stretti. Ma soprattutto, quello che più mi piace è l’economia del dono.

Cosa significa, esattamente, economia del dono?

L’economia del dono si contrappone all’economia tradizionalmente intesa, l’economia di mercato, la quale si basa sul valore di scambio o commerciale. Infatti, donare significa, per definizione, consegnare un bene nelle mani di un altro senza ricevere in cambio alcunché. Donare appare un movimento asimmetrico che nasce da spontaneità e libertà: nel donare c’è un soggetto, il donatore, che nella libertà, non costretto, e per generosità, per amore, fa un dono all’altro , indipendentemente dalla risposta di questo.

Cosa regali principalmente e a chi?

Qualche volta sotto l’albero lascio qualcosa di utile, ma nella maggior parte nelle scatole ci sono giocattoli. A tutti i bambini, buoni o cattivi che siano, l’importante è che credano in me.

Perché i giocattoli sono importanti per i bambini?

Il gioco crea una relazione molto importante tra il mondo reale e il mondo immaginario: il dover seguire delle regole, l’immedesimarsi nei ruoli richiesti, il raggiungimento dell’obiettivo o, al contrario, l’accettazione della sconfitta, fanno parte del gioco come della vita reale.

Perché i grandi non giocano più?

Non è che non giocano più, è che, crescendo, molti di loro hanno dimenticato il giusto equilibrio tra l’aspetto ludico ed estetico della vita e quello utilitaristico. A volte essere grandi viene confuso col poter trasgredire o con la creazione di regole non condivise se non da se stessi. Questo vuol dire che spesso il comportamento degli adulti è guidato da regole utilitaristiche, obiettivi materialistici e si viene sempre più fagocitati dalla quotidianità, dimenticando l’aspetto del piacere che è, appunto, la condizione di assenza di dolore in aggiunta ad una grande situazione di benessere e positività. Forse se i grandi giocassero di più ci sarebbero meno problemi.

Cosa si impara giocando?

Tutto, il gioco è tutto. Il gioco è un ristoro dell’anima, è un modo per allenare al sorriso, per confrontarsi e per creare dei legami. Per studiare gli avversari e trovare dei punti per stimarli: non sempre i cattivi (cioè gli avversari, ndr) sono così cattivi, a volte, hanno solo paura e bisogno di protezione.

Ma se tu dovessi scrivere una letterina, cosa chiederesti?

Un grande gioco dell’oca, dove gli adulti imparino dai bambini e dove i ruoli possano invertirsi di tanto in tanto. Mi piacerebbe fare la parte del buon vecchio Scrooge, qualche volta, solo per dare a lui la possibilità di godersi il Natale nei miei larghi panni. Ma tu, questo, non scriverlo.


QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU ORIONE N.5, “IL GIOCO”, NELLA SEZIONE INTERVISTA — DICEMBRE 2015

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