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In Preludio a un bacio di Tony Laudadio, Emanuele racconta in prima persona la sua storia dolcissima, complicata e anche un po’ surreale. Emanuele è un barbone, un musicista solo che, per mantenersi, suona agli angoli delle strade, facendo innamorare i passanti della sua musica.

La storia è imperniata di tristezza: la solitudine di Emanuele, volontaria, permea e avviluppa ogni singola parola, trasforma quelle pagine dense di sentimenti e di fragilità in pesanti lastre di marmo con cui diventa difficile simpatizzare. Man mano che la storia si dipana, capisco che la solitudine di Emanuele è la sua risposta a una serie di eventi che non è riuscito a gestire, così la sua unica soluzione è quella di porsi ai margini di una società che poi in fondo in fondo non è così male. Sembra quasi di esplorare la banalità; sembra — leggendo — che il protagonista sia scioccamente invischiato in una situazione invece facilissima da sciogliere. Fa rabbia, a tratti. E invece no, non è così. Su cosa sia la solitudine ne hanno scritto bene e tanto (e mai abbastanza) i nostri autori in questo numero sulle Solitudini: leggendo i preziosi contributi, da quello del gruppo Promis a quello di Perozziello-Buonomo e in tanti altri, imparo che la solitudine, le solitudini, non sono una condizione semplice da gestire e quasi sempre compromettono il benessere psico-fisico delle persone che le sperimentano. Principalmente, sole sono le persone che compongono le fasce fragili della società: persone disabili, anziani, immigrati, clochard, poveri. Ma non è più solo così già da parecchio: nel 1992 Augé teorizzava nel suo nonluoghi il fatto che «l’individuo si considera un mondo in sé. Egli si propone di interpretare da sé e per sé le informazioni che gli vengono date». L’individualizzazione dei riferimenti porta a espressioni sempre più narcisistiche dell’io, determinando così l’isolamento narcisistico dell’uomo, la strumentalizzazione dell’altro, la concorrenza universale che distruggono il clima di gratificazione. Scompare lo sguardo che offre conferma e riconoscimento. E nulla può l’iperconnessione: il virtuale consacra una netta separazione tra comunicazione e relazione: le persone non hanno più bisogno che i legami siano stabiliti né c’è l’esigenza di stabilirli. Nell’ottica delle Solitudini, mi spaventa un po’ il Metaverso, estremizzazione parossistica dei luoghi virtuali e immaginario che nei prossimi anni diventerà alla portata di tutti. Ma nello stesso tempo credo che ci sono degli utilizzi funzionali all’abbattimento di alcune barriere, come del resto per ogni strumento. Bisogna riprogettare il sistema di relazioni che ruota intorno alle innovazioni, i significati e i significanti, per sconfiggere una volta per tutte la grande paura della solitudine. Sono fiduciosa: ho fede nelle persone che quotidianamente lavorano per la costruzione di legami autentici, fatti di lavoro, il lavoro di persone per le persone, dove il valore prodotto non è un oggetto di uso comune ma ha valore intangibile. Altra consolazione, non tutte le solitudini sono deplorevoli, provate ad esempio a fare come vi suggerisce Angelo nel suo La Montagna amica. E poi, immergetevi nei libri che vi consigliano Aldo (Le lacrime di Nietzsche) e Giuseppe (Le nostre anime di notte), o nella carrellata di film che Francesco ci enumera nel pezzo Marcello, come here! e poi ditemi se, attorniati da natura, parole e persone, vi sentite ancora soli.

PER APPROFONDIRE

Jacques Lacan: Scritti —  Einaudi — 1974

Marc Augé: nonluoghi — Elèuthera — 1992

Byung-Chul Han: L’espulsione dell’altro — Nottetempo — 2021

Zygmunt Bauman: Amore liquido — Editori Laterza — 2006


QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU ORIONE N. 26, “Solitudini”, NELLA SEZIONE EDITORIALE — SETTEMBRE-DICEMBRE 2022

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Copertina di Orione n. 26, Solitudini. Omaggio a Emily Dickinson di Bruna Pallante.

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