Ma chi, tra noi adulti, crede veramente che il mondo non sia grande e incomprensibile? Forse crescendo ci siamo abituati a quello che abbiamo intorno: immagini di stragi, guerre, terremoti e diritti negati scorrono sullo sfondo dei nostri monitor. In primo piano, invece, i bianchissimi denti dei sorrisi smaglianti (non solo delle soubrette ma sempre più spesso anche dei politici), i lustrini di Sanremo, fa sognare il verde smeraldo dei campi di calcio (la finale dei mondiali in Quatar ha raccolto 12 milioni e 500mila spettatori pari a circa il 70% di share — e pensare che in Quatar la Sharia prevede ancora dalle 40 alle 100 frustate per il consumo di alcol e si arriva alla pena di morte se si è colpevoli di zina). Non credevo che avrei potuto affermare ciò e mi sento quasi in colpa: forse questo bisogno di vacuità è un modo degli adulti per resistere alla complessità del contemporaneo. Forse è il pensiero magico che il consumismo attiva per far fronte allo svuotamento del simbolico. Abbiamo così tanto bisogno di credere in qualcosa che a volte addirittura succede che iniziamo a credere nelle immagini,1 che per definizione stanno, un po’ come i segni, a rappresentare “qualcosa per qualcos’altro, a qualcuno in qualche modo”. Appunto: pensare esige immagini, e le immagini contengono pensiero.2 C’è qualcosa di magico in tutte le immagini cui la mente attinge come difesa e fonte di sopravvivenza. Succede però che non tutti possono vedere le immagini e così c’è bisogno di aumentarne la fruibilità e permetterne l’accesso alle persone che non vedono, che vedono poco o male, che hanno una percezione cromatica diversa o che vedono solo ombre o per mille altri motivi. Per (provare a) rendere le immagini accessibili, si fa un lavoro di traduzione del visivo in parole: viene da sé che, al netto delle informazioni oggettive, ogni descrizione è assolutamente soggettiva, come lo è la parola in quanto atto linguistico. Scegliere cosa dire e come, farlo con le parole adatte, non è così scontato come può sembrare. Vi propongo di fare un gioco per dimostrarlo. Se avete sotto mano un dizionario dei sinonimi (ma ve ne sono di ottimi anche online gratuitamente), cercate la prima parola che vi viene in mente. Io ho cercato casa e il dizionario mi ha restituito i seguenti sinonimi: abitazione, alloggio, casamento, caseggiato, condominio, edificio, fabbricato, palazzina, palazzo, dimora, residenza, appartamento, attico, baita, baracca, casale, mansarda, monolocale, seminterrato, villa, villetta, villino. Dunque vedrete che a ogni voce lessicale i linguisti hanno assegnato una serie di parole più o meno corrispondenti. Ed è in quel più o meno che risiede la fonte di quello che per me è il pensiero magico. Usatele bene, le parole, che scelte nel modo giusto risultino come formule magiche — che vi aiutino a creare ponti e a disegnare orizzonti e, chissà, magari ad alzare muri con tutto quello che sceglierete di tenere fuori.
NOTE
1 Lo sostiene David Freedberg nel suo saggio Il potere delle immagini, edito da Einaudi nel 1993.
2 Rudolf Arnheim: L’immagine e le parole — Mimesis — 2007
QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU ORIONE N. 28, “Pensiero magico”, NELLA SEZIONE EDITORIALE — GENNAIO-APRILE 2023
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