Tra le prime battute del film di Pedro Almodóvar, La pelle che abito, questa mi rimanda subito al tema della maschera e al suo utilizzo. Il volto — la faccia, più di ogni altra cosa, è identità — la forma immediata del chi siamo, prima ancora che comunicazione. Pensate che l’espressione facciale interviene nella regolazione dell’umore [1]e che ad alcuni di noi le persone con la maschera del clown fanno paura — hanno una faccia che non si comporta come dovrebbe: un sorriso forzato, occhi strabuzzanti e colori troppo accesi, pur ricordandoci comunque qualcosa di familiare, che Freud chiamava il perturbante.[2]
Sono le espressioni che facciamo a comunicare all’Altro le nostre emozioni e, in una situazione di sana empatia, a metterlo in relazione e provocare una reazione-risposta, predisponendo il suo comportamento in un verso o in un altro. Se la faccia è identità, coprirla con una maschera significa dunque non solo indossare un espediente teatrale di fattezze diverse in base alla latitudine, ma anche autorizzarsi disparati comportamenti che altrimenti non sarebbero permessi. È quello che banalmente fa il rapinatore con il viso coperto, il clown con il suo trucco coprente, il manifestante col passamontagna durante una rivoluzione… è la maschera che indossa Bill di Eyes Wide Shut a consentirgli l’accesso in un luogo proibito e fatale, dove l’erotismo si mescola alla dimensione del pericolo, in bilico tra sogno e realtà. Per estensione, indossiamo metaforicamente una maschera quando interpretiamo i vari ruoli che ci definiscono come persone nel nostro vissuto: giorno dopo giorno siamo chiamati a essere madri, padri, direttori, dipendenti, insegnanti, giudici, medici, avvocati… Ma poi, quando la maschera cade, cosa resta?
NOTE
[1]Fausto Caruana, Vittorio Gallese: pp. 223-234 di Sistemi intelligenti n. 2 del 2011 in Sentire, esprimere, comprendere le emozioni: Una nuova prospettiva neuroscientifica — Il Mulino
[2]Sigmund Freud: Il perturbante, in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio – Bollati Boringhieri 1991. Il titolo originale è Das Unheimliche e fu scritto da Freud nel corso del 1919 sulla base di un saggio che aveva tenuto nel cassetto per vari anni.
QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU ORIONE N.15, “LE MASCHERE”, NELLA SEZIONE EDITORIALE — DICEMBRE 2018
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