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Quando penso al tema del viaggio, subito nella mia mente si sviluppa un’immagine ben precisa: una barca a vela al centro dell’oceano, con vele spiegate riempite dal vento.

L’idea di libertà che mi dà quest’immagine è rafforzata dall’odore immaginario della salsedine incrostata sulla pelle, lievemente formicolante per la prolungata esposizione al sole, misto alla crema con formula protezione totale (è importante schermarsi contro i raggi negativi del sole). Così, per la mia intervista su questo numero di Orione, mi è venuto in mente di contattare lui, quello con due record di traversata atlantica, che è partito il 19 ottobre 2014 per tentare un giro del mondo in barca a vela in completa autosufficienza energetica ed alimentare, senza nessuno scalo. Lui è Matteo Miceli, classe 1971. Sono diventata sua amica su Facebook, così provo a scrivergli un messaggio e a spiegargli come stanno le cose. Mi risponde tempestivamente, lasciandomi il suo numero di telefono. Lo chiamo e subito fissiamo un appuntamento per l’intervista telefonica, «entro questa settimana perché poi, te lo dico in anteprima ma tu non dirlo a nessuno, parto per recuperare Eco40 (è la barca su cui è partito per l’ultimo giro del mondo, che aveva dovuto abbandonare per un incidente tecnico di percorso, ndr): l’hanno ritrovata». La sua infinita cordialità e la disponibilità immediata mi fanno entrare sin da subito in sintonia con lui, annientando tutte le barriere da primo approccio che la giornalista impacciata che è in me ogni volta (è sempre la prima volta) ha. In più, la sua voce ruvida e la sua naturalezza, rafforzano l’idea iconografica che ho di lui, capitano per antonomasia.

Per te che cos’è il viaggio? È più importante il viaggiare stesso o la meta da raggiungere?

Mi sono sempre fatto questa domanda. Andare e tornare. Mi sono sentito dire che torni veramente solo quando lasci capo Horn, che è il capo più a sud del mondo ed è quello più difficile da attraversare. Per me il viaggio si divide in due momenti, quello dell’andare e quello del tornare. Ma il vero viaggio è quello che è cominciato tanti tanti anni fa, quando ho iniziato ad avere il progetto di costruire una barca e di perfezionarla fino all’inverosimile. La partenza e dunque l’arrivo: essere arrivato al compimento del mio progetto.

Perché hai scelto la barca a vela per viaggiare?

Lavoravo nei cantieri, finché ho deciso di costruire una barca per sperimentare la sostenibilità. Oggi la bellezza delle cose sta nel farle pensando al rispetto dell’ambiente, il piacere di far sognare le persone che per tanti motivi non riescono a vivere un’avventura. Un mezzo utile può essere la bicicletta, i nostri piedi.

Come passi tutto il tempo sulla barca da solo?

La tecnologia mi ha permesso di non essere quasi mai da solo. L’appuntamento con la telefonata satellitare scandisce il tuo tempo, diventa un momento molto importante. Ma in barca è importante tutto il lavoro che hai da fare: la barca non va avanti da sola, le condizioni cambiano continuamente e sono molto impegnative. Non c’è quasi mai un momento in cui non hai niente da fare. In più dovevo pensare al sistema di energia alternativa per mangiare e per l’energia. Non mi sono quasi mai annoiato, anche se il periodo è stato lungo e stare da soli non è per niente semplice.

C’è un vinto e un vincitore tra l’uomo e il mare? Come vivi quest’equilibrio?

L’uomo è sempre il vinto e il vincitore è sempre il mare, sicuramente. Il mare è indubbiamente sempre più forte di noi, e noi possiamo, specialmente con una barca, solo assecondare la sua furia o la sua tranquillità. Anche la tranquillità è da assecondare perché la calma piatta non fa camminare la barca a vela. Noi possiamo solo regolare le vele, cercare di rimanere a galla.

Che cos’è la profondità?

Il rapporto con la mia interiorità lo sto vivendo solo adesso. Durante il viaggio avevo un record di velocità da superare. Ho combattuto con il freddo, con il poco cibo, con le galline, con l’orto (Matteo aveva a bordo due galline e un orto sinergico per il suo sostentamento, ndr), con le cose che non funzionavano. Solo adesso ho trovato una dimensione riflessiva. Oggi mi sento un po’ un pesce fuor d’acqua rispetto alla realtà.

Perché?

L’essere umano per me è la rovina della terra: ci stiamo mangiando questo pianeta e non vedo una soluzione per risparmiare. Mi piacerebbe inculcare ai giovani il concetto di risparmio energetico, per un profondo rispetto dell’ambiente.

Ma sei un po’ pessimista, o mi sbaglio?

Ride, quasi in maniera liberatoria, forse divertito dal mio tono, mi risponde con una confessione per la quale gli dico di sentirmi molto vicina a lui.

Qual è la soddisfazione più grande di questo viaggio?

La realtà di un ambiente ostile all’uomo: l’acqua salata, il vento, il mare, il sole. Riuscire a stare in quell’ambiente per oltre 150 giorni in completa autonomia e dimostrare che è possibile è una grande vittoria. Questo è un dato scientifico: con la tecnologia al servizio dell’uomo anche in un ambiente così ostile è possibile sopravvivere. Io ho fatto questo giro senza una goccia di combustibile fossile.

Qual è la cosa che ti è mancata di più?

Riesco, con questa domanda, a metterlo in difficoltà. Ci pensa però solo pochi istanti. Da buon capitano subito riprende il controllo della situazione: «Non mi è mancato nulla, oltre la chiglia che ho perso (ride, ndr)».

Il fatto che sei così essenziale è una conseguenza dell’adattamento alla barca o scegli la barca perché è essenziale come te?

La barca l’ho costruita e voluta in quel modo, quindi è sicuramente lei a essere come me.

Sei propenso al rischio?

Mi piace averlo calcolato: andare all’avventura senza preparazione non mi piace. Non mi serve l’adrenalina per fare le cose. Mi piace il rischio ben ponderato che si supera con la dedizione, l’impegno e la competenza.

Che cosa puoi dire ai nostri ragazzi?

Non rinunciate a vivere un’esperienza come quella della vela. La sensazione di vivere il mare non deriva dal vederlo. Il mare si ascolta, si sente sotto la pelle. Il mare lo vivi profondamente.

Tutte le risposte di Matteo sono riferite alla sua avventura in giro intorno al mondo, ma mi assicura che dietro quelle parole pratiche ci sono molte metafore di vita. Dunque, non mi resta che augurare a lui e a tutti voi buon vento!


QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU ORIONE N.5, “VIAGGIO IN UN MONDO FANTASTICO”, NELLA SEZIONE INTERVISTA — GENNAIO 2016

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