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Sedici i titoli mondiali vinti per lo sci nautico. Cinque le medaglie d’oro vinte nelle ultime edizioni dei mondiali di sci nautico.

Tre gli anni che aveva quando ha iniziato a nuotare. Dodici gli anni che aveva quando ha vinto il primo argento in una competizione internazionale. Quattro gli sport in cui si allena: sci nautico, nuoto, karate, sci. Una la malattia che lo ha reso cieco sin dalla nascita: retinite pigmentosa. Lui è Daniele Cassioli, trent’anni, sportivo sin da piccolo e fisioterapista nella vita. Ha frequentato l’università di Varese, dove ancora nessuno era preparato ad avere studenti non vedenti; è stato tra I primi non vedenti a praticare questo sport in Italia. Daniele mi confessa subito che la sua chiave di lettura è quella di essere felici per quello che si ha e non tristi per quello che non si ha. «Io sono prima Daniele, prima di essere cieco o fisioterapista o uno sportivo,» apre così la nostra chiacchierata. 

Cosa ha significato fare sport per te?

Lo sport è un ottimo strumento di comunicazione. Mette in contatto persone che altrimenti non si sarebbero incontrate, è un punto di partenza per aprire molti altri discorsi. Io ho prima iniziato a fare sport e poi iniziato a vivere con consapevolezza.

Come ti confronti col fatto che non vedi?

Non credo che sarei stato un uomo migliore se avessi visto. Siamo qui per questo, magari ho la mia sensibilità, io sono così oggi perché ho costruito le mie certezze senza vedere. A me sta bene così, ho trasformato questa difficoltà in opportunità.

Perché fare sport è importante?

Per tutti è importante fare sport perché si impara la disciplina, l’allenamento. Una gara dura pochi minuti, mentre l’allenamento dura tutto l’anno. È soprattutto una questione di testa. Insegna lo spirito di sacrificio: più ti alleni, più i risultati arrivano. Un po’ come nella vita. Poi, per le persone non vedenti è ancora più importante: fare sport vuol dire imparare schemi motori che sono utili nella vita di tutti i giorni. Aiuta ad aumentare la capacità di gestione del proprio fisico, ad essere consapevoli del proprio corpo. 

Cosa sono per te i limiti?

A volte i limiti sono più nella testa degli adulti che dei bambini. I bambini giocano tra di loro senza distinzioni. Io vado nelle scuole a portare la mia testimonianza e loro sono quelli che mi danno più soddisfazioni.

Ci sono dei limiti connessi alla condizione di cecità?

Sta tanto anche a noi farci vedere, essere il più normali possibile: prima di richiedere l’accessibilità alla società, dobbiamo anche fare in modo che il nostro handicap sia accessibile. Le persone devono rapportarsi a noi in modo sereno, tranquillo, senza difficoltà. Nel mondo della cecità, ancora più che per altre disabilità, è semplice parlare di integrazione e di inclusione se siamo noi i primi a comportarci da persone e non da ciechi.

Qual è la difficoltà maggiore che hai incontrato nell’affrontare la disciplina dello sci nautico?

La cosa più difficile è che si è svincolati da qualsiasi cosa. In genere quando camminiamo abbiamo un punto di appoggio: un bastone, un cane guida, una persona che ci accompagna. Nello sci nautico, come in tanti altri sport, tutto questo non è possibile. È solo il fisico che conta, con la percezione di sé nello spazio. Hai una corda tra le mani, il bilancino. Ma devi portare tu lei, non è lei che porta te. Mentre il cieco molto spesso è portato. Poi, quando ho iniziato io, c’erano in Italia poche altre persone che non vedevano che lo facevano. Quindi non si sapeva come insegnare.

Quando la tua passione si è trasformata in sport agonistico?

Io credo che sia un po’ una questione di attitudine, talento. Poi c’è anche un discorso psicologico, di testa. E soprattutto ci vuole carattere: determinazione, competitività. Ma soprattutto, la passione.

Sei spesso in giro per lasciare la tua testimonianza e raccontare la tua vita. Quali sono gli effetti del raccontare a tutti che sei un campione?

Innanzitutto, i bambini a cui parlo ma anche gli adulti, cambiano completamente il modo in cui ti guardano. Da “poverino, questo qui che non vede” diventi “Wow, questo non vede però non è proprio un disperato” (ride con un po’ di timidezza, ndr). È che far vedere mentre sono sugli sci in un video, scardina completamente le strutture mentali che gli altri hanno di noi non vedenti. Poi, uno sport così adrenalinico, con una bella fetta di rischio, diventa alla portata di tutti.

Hai un messaggio importante per i nostri lettori?

Non porsi mai limiti. Quando ho iniziato a fare sci nautico, non si pensava che un cieco potesse saltare ventuno metri. Io l’ho fatto. Non si pensava che un cieco potesse fare corda al piede (è un’acrobazia dello sci nautico e lui è l’unico al mondo a fare delle evoluzioni corda al piede, ndr) e io l’ho fatto. Ma anche solo il fatto di potersi laureare in un’università non attrezzata per i non vedenti. Io l’ho fatto. Bisogna responsabilizzarsi sul valore della propria felicità: siamo noi responsabili del nostro benessere. La cecità non deve deresponsabilizzarci dalla ricerca della felicità, del proprio star bene, che è comunque sempre nelle nostre mani. Tutto è possibile: bisogna aver fiducia in noi stessi, nei bambini. 

Dove ti vedi tra un anno? 

In Australia, per mondiali di maggio 2017. 

E noi saremo sugli spalti — o davanti alla tv — a fare il tifo per lui.


QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU ORIONE N.5, “LO SPORT”, NELLA SEZIONE INTERVISTA — LUGLIO 2016

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