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Qual è l’impatto delle tecnologie legate ai social media sulle nuove generazioni?

Gira un video in rete che riprende una bimba di circa nove mesi che gioca con un tablet. Quando le propongono di utilizzare una rivista, lei guarda incredula il suo dito, pensando che ci sia qualcosa che non va: non conosce l’azione dello sfogliare, continua a picchiettare la copertina cartacea come se fosse un monitor ma non succede niente e lei rimane interdetta.

Li chiamano nativi digitali, la generazione di chi è nato e cresciuto in corrispondenza dello sviluppo delle tecnologie digitali. Tecnologie che negli ultimi dieci anni hanno senza dubbio aperto un mondo ricco di possibilità, oltre a stimolare un acceso dibattito e reazioni di amore da parte dei tech lovers e di odio da parte dei più conservatori. Anche se non è stata pensata per le tecnologie sviluppatesi con l’avvento di Internet, la famosa frase il medium è il messaggio è oggi più attuale che mai. Non solo possiamo osservare che il vero messaggio che ogni mezzo di comunicazione trasmette è costituito dal mezzo stesso, ma inoltre la struttura intrinseca del mezzo suscita negli utenti comportamenti e modi di pensare ogni volta nuovi, andando a ridefinire i rapporti sociali e gli scambi valoriali. Grazie alle nuove tecnologie sempre più a portata di mano[1], le persone sono ormai in condizione di poter essere connesse sempre e ovunque, a patto che abbiano scavalcato le barriere relative alle competenze di utilizzo e all’accessibilità. L’illusione che si crea è quella di attribuirsi un superpotere: i confini non sono più materici e fisici ma invisibili e impalpabili, le scale dei valori sono misurate con le stesse parole dei social. Si è amici su Facebook, si condividono i contenuti, si seguono le persone interessanti su Twitter, si pinnano le immagini da tenere a mente su Pinterest e si etichettano i momenti più belli su Instagram con gli hashtag più in voga. Tutta questa tecnologia rappresenta senza dubbio un aumento delle possibilità, ma d’altro canto porta con sé un aumento della complessità: i significati si moltiplicano e non esistono rassicurazioni nella decodificazione dei comportamenti sociali. Inoltre, in età evolutiva, è comprovato che l’utilizzo non consapevole di Internet ha influssi negativi sulla propria autostima, in particolare a livello delle relazioni con gli altri (pari, amici, compagni), delle relazioni con sé stessi (immagine corporea) e delle relazioni all’interno della famiglia. Si sfocia così in un comportamento di narcisismo digitale, dove la sfera intima viene sacrificata in nome di uno scenario pubblico-privato senza quasi distinzioni: la socializzazione sempre più frequentemente è mediata dalle tecnologie che supportano i social, andando ad impattare in dimensioni spazio-temporali via via più fluide. È il postmodernismo di Bauman: con la crisi del concetto di comunità si assiste ad un incremento di un individualismo sfrenato dove si è antagonisti di tutti; i confini e i riferimenti sociali si perdono in quella che sovente viene definita società liquida, e le tecnologie legate ai social fungono senza dubbio da propulsori per queste dinamiche. È il paradosso dei social network: sempre più socievoli in rete ma molto meno nella realtà, e qui proporrei un minuto di silenzio per tutti quegli adolescenti che, ad esempio, non si innamoreranno mai leggendo parole scritte su carta con la penna, sfiorando con le dita il solco dell’inchiostro, annusando la carta in cerca di un qualche odore che riconduca a chi ha scritto quelle cose. Mi viene da pensare alle riflessioni di Jean Baudrillard. Siamo negli anni ’70-’80 ma quello che sostiene il sociologo francese è spaventosamente ancor più vero oggi: la realtà è ormai ridotta a mero simulacro, è una copia perfetta di qualcosa di cui non esiste l’originale, dando così vita ad una realtà oltre la realtà, una sorta di iperrealtà. In questa situazione, i segni non hanno più il loro valore significativo e dunque non dicono più nulla: diventano feticci frutto di manipolazioni del significato. Le tecnologie favorirebbero dunque questo processo, permettendo alla realtà di scomparire e sostituendola con una caricatura menzognera della stessa. Quello dei social è un mondo così sfavillante — sempre sfavillante — da far impallidire le paillettes e le mille luci colorate di Broadway. Naturalmente tutto si esaurisce quando i riflettori si spengono, riportando a zucca vuota quella che sembrava la carrozza del ballo[2]. Ed è qui che poi entrano in gioco tutte le problematiche relative agli aspetti culturali, psicologici e sociologici dell’uso-abuso delle tecnologie legate ai social network[3]. La via d’uscita c’è, eccome: un uso intelligente della tecnologia potenzia la mente e le sue abilità in quanto c’è bisogno di problem solving, ragionamento complesso, archiviazione ed elaborazione di dati, acquisizione di competenze. Ci sono molti modi creativi di utilizzare le nuove tecnologie e non farsene inconsapevolmente utilizzare.

Vale a dire: dietro ogni schermo c’è una persona.

NOTE

[1] Da Global Digital Snapshot 2017: su una popolazione mondiale di 7.4 miliardi di persone, 3.4 di queste utilizzano Internet abitualmente.

[2] Cfr. Cenerentola, fiaba popolare della Cina o dell’antico Egitto, riportata nel mondo occidentale grazie ai racconti di Giambattista Basile, di Charles Perrault e dei fratelli Grimm.

[3] Come ad esempio cyberbullingsextingcyberstalking


QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU ORIONE N.10, “DIECI”, NELLA SEZIONE LINGUAGGI — APRILE 2016

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