Suddivisi per genere ed età, tutti insieme formano il Museo del Giocattolo, curato dal dott. Vincenzo Capuano, docente di Storia del Giocattolo presso la Facoltà di Scienze della Formazione. Il museo è dedicato alla memoria di Ernst Lossa, il bambino zingaro ucciso nel 1944, a quattordici anni, dalla feroce campagna nazista di eugenetica, dopo un anno e mezzo di detenzione nel braccio della morte di un ospedale psichiatrico, come si legge all’ingresso dello stesso. E proprio partendo dalla storia di questo ragazzino tanto coraggioso che rubava cibo per sfamare gli altri pazienti rinchiusi con lui, a cui, come tanti, è stata negata la bellezza della sua infanzia, si può visitare una carrellata infinita di giocattoli.
I giocattoli sono costruiti dagli adulti per i loro bambini,
ci spiega il prof. Vincenzo Capuano,
questo significa che sono un oggetto indispensabile per lo studio della società e delle sue evoluzioni nel corso dei secoli.
La collezione esposta è ricchissima: dalle bambole antiche del ‘700, finemente costruite con porcellana e rivestite con preziose stoffe, fino alle Barbie e ai peluches (rappresentazione maschile della bambola, ma questa è un’altra storia; un’ampia gamma di giochi da tavolo, dadi, trottole, carte e tarocchi; burattini e automobiline, astronavi, giostre, fino ad arrivare ai primi automi — dai marchingegni sofisticatissimi in relazione all’epoca di produzione — capaci di muoversi o compiere azioni come ad esempio suonare il piano — e riascoltare quella melodia impolverata riapre alla mente scenari di tempi lontani e bambini già adulti. Perché dunque lo studio e la conservazione dei giocattoli, e la loro esposizione sono così importanti da giustificare l’esistenza del Museo del Gioco? La risposta del prof. Capuano è pronta e sicura:
Perché attraverso i giocattoli possiamo capire la vita sociale delle persone che ci hanno preceduto. Le bambole, ad esempio, sono si oggetto di riti personali per chi ci gioca, ma hanno una funzione sociale fondamentale: servono a dire e a fare ciò che non si può dire e fare nel linguaggio e nella vita di ogni giorno. È la vita reinventata, rimpicciolita, per poter vivere meglio nel mondo degli adulti, una miniatura di sé, un doppio in cui proiettare desideri, angosce, rappresentazioni del mondo.
Ogni giocattolo è la descrizione dei tempi che lo hanno prodotto, questa è dunque una affascinante chiave etnografica con cui poter leggere la realtà. In più, porta chi lo utilizza in un mondo non più reale ma virtuale, elemento fondamentale diviene dunque l’immaginazione, che giocando viene dunque coltivata e ampliata. Il concetto di gioco sottolineato da Aristotele, cioè che questo è un’attività in vista di se stessa e non per il fine cui tende o per il risultato che produce, è in seguito ampliato prima da Kant e poi dalla filosofia e dalla pedagogia del XIX secolo, secondo le quali al valore estetico e ludico del gioco si affianca una funzione biologica: il gioco addestra alle attività vitali che garantiscono la conservazione dell’organismo. Infine, si è aggiunto il riconoscimento di una funzione sociale: sia il gioco come attività diretta che il gioco come spettacolo, sono oggi i due modi principali per l’impiego del tempo libero, e non più solo da parte dei bambini. Per gli adulti, è uno dei modi principali per perseguire il piacere, in maniera assolutamente libera e spontanea nonostante le restrizioni imposte dalle regole del gioco stesso, per tenere in allenamento la fantasia e l’immaginazione verso uno sviluppo dell’esistenza della persona.
Alcune informazioni per visitare il Museo del Giocattolo a Napoli: Attualmente il museo è in fase di ristrutturazione, quindi è bene capire quale disponibilità c’è per eventuali visite. Di norma, il museo è aperto il lunedì e il mercoledì (su prenotazione via email), il venerdì dalle 09.00 alle 14.00. Si trova in Via Suor Orsola 10, Napoli e potete contattare gli addetti al numero 081-2522424 o via mail scrivendo a museodelgiocattolo@unisob.na.it.
QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU ORIONE N.5, “IL GIOCO”, NELLA SEZIONE LINGUAGGI — DICEMBRE 2016
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