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Ho intervistato l’avvocato Salvatore Nocera, da anni impegnato nel mondo della disabilità.

Il suo trascorso professionale, veramente degno di nota, comprende tra le altre cose, il ruolo di consulente giuridico del Ministero della Pubblica Istruzione sulla normativa dell’integrazione scolastica degli alunni diversamente abili; è autore di diverse pubblicazioni con la casa editrice Erickson. Il suo sguardo è importante perché è anello di congiunzione tra quella che è la rigida costituzione dei testi giuridici e quella che è la reale applicazione nella vita quotidiana.

Avvocato Nocera, come vive la dimensione soggettiva temporale?

Io di solito vengo molto stimolato dall’esterno: sono spesso costretto a ripensare le posizioni che avevo preso in precedenza sulle tematiche della disabilità a seconda delle stimolazioni che vengono dall’esterno. Sempre però nel solco di un orientamento di base culturale e spirituale che ormai ho maturato lungo gli anni della mia vita, della mia esperienza e della mia riflessione sull’esperienza relativa all’inclusione scolastica.

Salvatore Nocera di oggi come è diverso rispetto a quello di venti-trenta anni fa?

Trent’anni fa ero in fase ottimistica: pensavo che l’impegno nel cambiare le norme risolvesse tutti i problemi. Oggi sono meno ottimista e più combattivo. Primo mi affidavo molto alle future sorti progressive, oggi fido molto nel marcare strettamente le norme e l’applicazione che se ne fa nella prassi e nella magistratura per correggere le storture. A una forma di entusiasmo sbarazzino di allora è subentrata una forma di pessimismo produttivo che mi ha spinto ad essere più avveduto, più concentrato, più pignolo nel pretendere il rispetto o il cambiamento di certe norme.

Perché lo fa?

Ho iniziato quasi come un dovere: ho vissuto l’integrazione negli anni ’50 quando ancora non esisteva nel profondo sud, in Sicilia, e debbo ai miei insegnanti di allora, che non erano specializzati e ai miei compagni di allora (che sono diventati i miei amici più intimi). Poi ho cominciato ad insegnare nella seconda metà degli anni ’60 e poi come consulente del ministero negli anni ’80. Ho pensato di dover divulgare la mia esperienza positiva e ho cominciato ad occuparmene, quasi come dovere di riconoscenza per quello che la scuola mi aveva dato. Il tempo, un fattore dunque determinante per il cambiamento… Ho dovuto spesso cambiare idea, anche in merito a norme che avevo prima difeso ma che poi alla luce della prova dei fatti sono risultate poco praticabili o hanno mostrato effetti diversi da quelli sperati.

Un esempio?

Mi sono sempre battuto molto per l’insegnante di sostegno. Adesso ho maturato la convinzione che bisogna avere dei ruoli appositi di sostegno per garantire la continuità didattica agli alunni con disabilità. La norma attuale che consente agli insegnanti di chiedere l’aiuto del sostegno crea grandi disordini nella testa dei ragazzini, che non riescono ad avere un ciclo continuo.

Quindi il tempo è maestro di vita?

Se una persona non sa trarre conclusioni dalle riflessioni maturate durante l’esperienza e quindi nel tempo, non credo che si possa chiamare intellettuale.

Lei si considera un intellettuale?

Mi considero un intellettuale: uno che lavora fondamentalmente con l’intelletto più che con le mani. Anche se ormai non si può dire di lavorare senza le mani: per esprimere i miei pensieri devo usare la tastiera del computer e Le assicuro che certe volte alla sera sono veramente affaticato.

Quanto è stata importante l’introduzione delle nuove tecnologie?

Per me minorato della vista, il computer è stato una grande scoperta e una grande conquista. Io uso quello con la sintesi vocale e devo dire che mi ha dato un’autonomia che prima non avevo, sia per scrivere che per leggere. Fortunatamente non sono schiavo della tecnologia, è la tecnologia che è diventata mia carissima amica, che mi aiuta a fare quello che da solo non potrei fare o per fare il quale avrei bisogno della collaborazione di un’altra persona, la qual cosa se in famiglia condizionerebbe la vita di mia moglie o di mia figlia, se a pagamento condizionerebbe il portafoglio.

Qual è la direzione attuale della normativa per l’inclusione scolastica, quale la ratio?

Oggi mi sto battendo con la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, ndr) per fare in modo che la normativa si orienti sempre di più al ritorno alle origini: si basava sulla presa in carico sul progetto inclusivo da parte degli insegnanti della classe. Poi è arrivato l’insegnante di sostegno che dovrebbe appunto essere ‘di sostegno’ alle attività curricolari. Purtroppo a partire dagli anni ’80 il sostegno è diventato sempre più un’occasione di delega da parte dei docenti curricolari e questo ha snaturato la logica dell’inclusione scolastica. Siamo arrivati di conseguenza alla richiesta sempre crescente di ore di sostegno e ad una crescente delega a questi da parte dei curricolari.Questo viene a neutralizzare alle radici la cultura inclusiva italiana.

Qual è la vostra proposta concreta?

Si basa sull’importanza della presa in carico dei docenti curricolare, i quali devono avere una formazione iniziale sulle dinamiche delle didattiche inclusive che attualmente non hanno. Proponiamo formazione obbligatoria in servizio e la necessità di programmare mensilmente con tutti i colleghi curricolari l’attività didattica per l’inclusione degli alunni con disabilità. Oggi la normativa prevede questo solo per i docenti della scuola dell’infanzia e primaria. Noi vogliamo che accada anche nella scuola secondaria di primo e secondo grado. Abbiamo introdotto la necessità di individuare degli indicatori per misurare il livello di qualità inclusiva delle singole classi. Per fare questo ci stiamo battendo con il Ministero, che ha lanciato il discorso dell’autovalutazione che fanno i capi di istituto delle scuole per quanto riguarda la qualità globale di sistema. Ma sugli aspetti inclusivi ci sono pochissime domande, che sono anche di una banalità incredibile. Vogliamo domande più appropriate che permettano veramente di verificare se in quella classe si operi l’inclusione sia secondo le norme di legge, sia secondo le esperienze della didattica e della pedagogia.

Cos’è che a Suo avviso non funziona e rende necessaria l’introduzione delle vostre richieste?

In parte è la normativa che non risponde, in parte vi è l’applicazione errata, soprattutto da parte della scuola che non garantisce la continuità didattica e anche un po’ da parte delle famiglie, che a differenza delle famiglie anni ’60 vedono il diritto allo studio dei propri figli non come un diritto collettivo di inclusione ma come un diritto individuale. Questa è la negazione totale dell’inclusione scolastica.

Come si è passato all’approccio individuale a discapito della collettività?

Un pò dipende dal fatto che sono in pensione tutti gli operatori degli anni ’60 (sorride divertito, ndr). Un pò è colpa della destra e in questo il berlusconismo ha fatto molto: non si guarda più al benessere collettivo ma si guarda solo all’interesse individuale. Infine, i tagli alla spesa pubblica hanno costretto il Ministero a ridurre le ore di sostegno e ad aumentare il numero degli alunni per classe a discapito degli alunni con disabilità, che diventavano sempre più emarginati. Le famiglie hanno iniziato a fare ricorsi al Tar, il che implica una visione egoistica: io spendo i soldi perché voglio le mie ore con il mio insegnante, non mi importa degli altri.

Cosa si aspetta nei prossimi anni?

I tagli alla spesa pubblica sono una grande sfida alla scuola e all’integrazione nella scuola. Nei prossimi aspetto ulteriori tagli e quindi la lotta per far si che con la spesa ridotta si possa continuare a mantenere un livello di qualità inclusiva per quanto possibile accettabile. Per quanto riguarda la politica il sottosegretario Faraone sembra ben orientato nell’impostare una riforma della scuola che prevede anche l’aspetto inclusivo come molto importante e questo mi fa bene sperare. Laddove ci fossero dei ritorni indietro (come Moratti e Gelmini) bisogna stringere i denti e il cervello e andare avanti.

Ha una richiesta particolare da fare ai nostri lettori?

La mia richiesta, come dirigente di un’associazione di familiari di persone con disabilità è semplice: cercate di riacquistare la logica inclusiva degli anni ’60, riacquistate la logica della solidarietà, cercate di non strumentalizzare le norme in chiave egoistica. Ad esempio evitate di pretendere che i vostri figli rimangano uno o due anni in più a scuola: è una violazione della cultura dell’inclusione e questo fa male anche ai ragazzi. La logica inclusiva vuole che i nostri ragazzi frequentino i coetanei biologici, anche se l’età mentale di molti ragazzi è più indietro. Le pulsioni a livello biologico, affettivo, sessuale, sono le stesse dei coetanei perché la crescita avviene comunque. Per me fare in modo che un ragazzo di 15 anni sia in V elementare è pura follia. L’integrazione si fa con i coetanei, sia pure nella diversità delle situazioni. Per questo la normativa ha creato dei percorsi nella formazione dei docenti che aiuta l’incontro delle diversità.

Il tempo biologico prevale dunque sul tempo interiore?

In alcuni casi sembrerebbe di si, e almeno per una volta, ci sembra quasi che l’unica vero futuro sia un ritorno al passato.


QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU ORIONE N.4, “IL TEMPO”, NELLA SEZIONE INTERVISTA — DICEMBRE 2015

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