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Parlare di formazione in un mondo costellato di mercatini della cultura, dove la conoscenza si acquisisce all’etto, dove studiare diventa una corsa al voto e ai titoli, sembra molto difficile.

Pezzi di carta con valore legale, tanto più alto quanto più breve è il percorso, da spendere nel mercato del lavoro in pompa magna, è tutto una corsa a-chi-sa-di-più: a chi dice di sapere di più. In quest’ottica la parola formazione è connessa strettamente ai diversi livelli di istruzione, preparazione e specializzazione per ciò che riguarda l’attività professionale. Si parla di formazione permanente, a distanza, di alta formazione, di formazione specialistica, talvolta in formula week-end. Linguisticamente, la formazione è spesso associata ai concetti di educazione e istruzione, essendo un processo volto ad acquisire nozioni ed informazioni per specializzarsi sempre più ed affinare le proprie competenze. In genere si ha formazione se il processo è a lungo periodo: sedimentare nel tempo le teorie e i concetti relativi ad un argomento di particolare interesse significa farlo proprio, farne esperienza, nel senso stretto di esperire, che i latini fanno derivare da experiri=peritus, esperto. Sotteso al processo formativo vi è sempre un piano che organizza in maniera sistemica le sfere del sapere e tende a strutturare le conoscenze in diversi livelli, in modo tale da solidificare e incasellare le aree dello scibile umano.Nelle realtà sociali come quella della Fondazione Sinapsi però, la formazione è tutt’altro. La materia prima oggetto di tale formazione sono le persone. Persone con bisogni specifici, con diverse abilità, a volte fruitori di linguaggi non universali che, se non supportati con metodologie adeguate, rischiano di essere intrappolati nelle reti della non inclusione e dell’emarginazione sociale. Ecco dunque che la parola assume una nuova pertinenza e illumina altri percorsi: il formare, il formarsi ritornano a significare il dare o prendere forma, proprio come la creta nelle mani del vasaio. Formare è ciò che gli operatori della Fondazione Sinapsi vivono come quotidianità nel loro lavoro: dare forma e sostanza alle esperienze personali, educative e sociali dei minori con disabilità visiva e delle loro famiglie è la ragion d’essere della fondazione stessa. Dare forma significa costruire ponti tra mondi solo apparentemente diversi, attraverso l’abbattimento del muro dell’incomunicabilità per giungere ad un cambiamento, partendo dalla crescita personale culturale, morale e spirituale. Solo il cambiamento individuale può rendere possibile una trasformazione che coinvolga sempre più l’aspetto comunitario e la dimensione sociale. D’altro canto, ci sono momenti in cui si prende forma, esplorando sé stessi fino in fondo e modificandosi in una filosofica ricerca di quel valore aggiunto in più che non sarà mai abbastanza. Ciò non vuol dire snaturare la propria essenza: quando si pensa alla forma, si immagina sempre qualcosa di strutturato con uno spazio nettamente separato dall’ambiente circostante. Il concetto che invece ho in mente è ciò che accade ai liquidi: hanno una propria solidità, occupano il loro volume, ma riescono ad assumere la forma del contenitore in cui sono inseriti pur mantenendo la loro incomprimibilità. Senza perdere dunque la propria identità. Metafora che mi porta molto vicino al principio di inclusione delle persone con diversa abilità. Dà fiducia e ottimismo guardare alla formazione come ad un processo evolutivo che accompagni naturalmente l’intera esistenza di ogni individuo, che trasformi la crisalide in farfalla dalle variopinte ali spiegate.


QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU ORIONE N.2, “FORMAZIONE”, NELLA SEZIONE LINGUAGGI — AGOSTO 2014

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