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Maradona Bruna Pallante
Al carabiniere che andò ad arrestarlo, Maradona controllò il nodo della cravatta e gli disse: «Sistematelo bene, stai per entrare nella storia». Uno dei carabinieri che lo aspettava in macchina, appena Maradona entrò in manette, gli disse: «Coglione, eri l’idolo di mio figlio». Maradona rispose: «Coglione, l’idolo di tuo figlio devi essere tu».

Non so se questo simpatico episodio trovato in rete sia vero, fatto sta che la notizia più vera di tutte l’ha titolata L’Équipe il 26 novembre 2020: «Dieu est mort».

prima pagina del gionrale l’équipe del 26 novembre 2020, titola: Dio è morto

MARADONA: IL DIO DEL CALCIO

Una vera e propria divinità, tredicesimo di quei Dodekatheon occupanti il Monte Olimpo: soprannaturali e immortali, governano la vita e la morte degli esseri umani e proprio come loro hanno talenti e debolezze; le loro gesta si narrano in miti e leggende. Nello stesso modo, Maradona è mito e leggenda: le famiglie napoletane appendono il suo ritratto sulla spalliera del letto, al fianco — o al posto — di quello di Gesù: significativo riconoscimento della sua potenza iconica, è difficile spiegare perché Maradona sia così divinizzato — a tal punto da far nascere il movimento religioso della Santa Iglesia de Maradona, con tanto di sacramenti, festività e comandamenti — ma è proprio per questo che il personaggio diventa ancora più adatto a racchiudere il divino. Divino e divo, accade quello che sociologicamente Morin teorizza nel suo I Divi: «Eroicizzati e divinizzati, i divi sono qualcosa di più che oggetti di ammirazione: sono anche oggetto di culto. Intorno a loro si sviluppa una religione embrionale. Questa religione diffonde in tutto il mondo i suoi fermenti: nessuno che frequenti le sale buie (le sale cinematografiche, ndr) può dirsi veramente ateo, ma tra le folle cinematografiche si può isolare la tribù dei fedeli, portatori di reliquie e dediti al culto, i fanatici o fans». Entrato in sordina nella squadra del Napoli nel 1984, è solo nei quarti di finale del mondiale dell’86 che si palesa la Mano de Dios, quando pur di fare gol Maradona spinge il pallone in rete toccandolo con la mano. L’arbitro non lo vede e lui spiega l’azione ammettendo di aver avuto un “aiuto dal cielo”, per riequilibrare la sconfitta politica che l’Argentina aveva subito dalla Tatcher nella Guerra delle Falkland del 1982. È nella stessa partita che Maradona segnerà il gol del secolo, consacrandosi così a pieno diritto nella storia del calcio mondiale:

DIEGO: SEMPLICEMENTE UOMO

Il posto da cui viene, Villa Fiorito, non è nient’altro che una favela nella periferia più povera di Buenos Aires e il campo in cui gioca è terra e fango. Questo non impedisce a quei due grandi occhi neri di brillare quando pensa ai suoi due sogni:

Il primo, giocare ai Mondiali, il secondo è vincerli. Si avvereranno entrambi. 

DIEGO E MARADONA: UOMO E DIO

Ma cosa fa di Maradona un fenomeno sociale così esteso nel mondo?

Sicuramente una delle risposte viene dal suo lato oscuro: amico di boss della camorra, padre non sempre amorevole (riconoscerà il suo primo figlio solo quando questo avrà 21 anni), fragile alle dipendenze da alcool e droga, evasore fiscale. Irregolare, solo per una volta, anche sul campo. Se la sua unica vetta da scalare è rappresentata da Pelè, Maradona è in diade con lui almeno quanto Dioniso lo è con Apollo. E non solo per la cascata di riccioli neri.

Primo piano di Diego Armando Maradona, un sacco di riccioli neri!

Maradona vive un mondo a sé, segue regole proprie: dopo ogni partita iniziano gli eccessi, poi il mercoledì la corsa a ripulirsi e gli allenamenti per rimettersi in sesto per la partita della domenica. Alienato e sprezzante, ingenuo e fragile, un uomo talmente semplice da mettersi a nudo davanti al mondo intero. Arriva a Napoli acclamato da 85 mila persone; andrà via, sconfitto, da solo. Paladino della gente comune, rappresenta per Napoli — e per tutti i Sud del mondo — quel riscatto socio culturale che travalicherà i confini del campo di calcio: mai prima di lui una squadra del Sud aveva vinto lo scudetto contro la “Juventus di Agnelli”. Poco importano le scorrettezze, l’adorazione popolare è un crescendo, con il primo scudetto del Napoli (durante la stagione ’86-’87), sempre più Maradona rappresenta per la città quel riscatto sociale che anni di storia, arte e cultura non erano riusciti a far brillare. Storicamente, economicamente e antropologicamente simile alla sua Argentina, Napoli diventa covo e rifugio dell’alter ego Maradona; quanto più il fenomeno Maradona cresce, tanto più l’uomo Diego inizia a cadere in pezzi. A Napoli e in molte altre parti del mondo è vero che «lo sport è un’istituzione magica che celebra con un preciso rituale gli impulsi che più appaiono necessari al funzionamento e alla sopravvivenza di qualsiasi gruppo»,:[1] le celebrazioni per Maradona sono così intense che Diego non può fare due passi senza essere travolto dalla folla inneggiante. Schivo con i giornalisti, generoso con la folla. Il suo atteggiamento sovversivo è vicino a quello di un popolo che chiede giustizia sociale. Si batte per i più poveri e rivendica la parità e la dignità di tutti gli esseri umani. Nei confronti delle etichette è sprezzante, ribelle: nemico giurato dei dirigenti Fifa, non offrirà mai la sua presenza in contesti veramente istituzionali ma invece frequenterà capi di stato che in Occidente rappresentano “il male”, agli antipodi del sistema capitalistico in cui vive. Amico di Fidel Castro e sostenitore (ricambiato) di Chavez, Lula da Silva, nelle sue infinite visite ai potenti abbraccia anche Papa Francesco.

Simbolo di speranza, Maradona è l’eroe che dà voce agli ultimi, ma sempre più è assimilabile all‘eroe romantico: fuori dalla società e dalle sue convenzioni per la dipendenza dalla cocaina, fuori classe e fuori legge, con la sua ritrosia nell‘offrirsi ai fan, sono tratti che completano la sua personalità in un conflitto tra reale e ideale, fermi restando l’amore per la patria e la sua indipendenza nel pensiero. Citando Minoli, Maradona è «un eroe tragico che ha saputo sconfiggere povertà, diffidenza e sfortuna per arrivare a vincere tutto».[2] E proprio come gli eroi tragici, finirà solo, lontano da tutto e tutti «perché quando un albero sta cadendo vanno via tutti. E io stavo cadendo», come dichiara egli stesso in un‘intervista per Report.[3] Idolo, icona, mito, eroe. Dio. Umano, troppo umano. Lo avete acclamato, osannato, accusato, rincorso e rinchiuso. Sedotto e abbandonato. Ora, Dio è morto. Ora, fate silenzio.

NOTE 

[1] Marshall McLuhan: La sposa meccanica. Il folclore dell’uomo industriale — SugarCo — 1984

[2] Gianni Minoli: dal programma La storia siamo noi Maradona — 1 giugno 2009  

[3] Paolo Mondani intervista Maradona per Report nel 2014. Il video è disponibile qui.

PER APPROFONDIRE 

A cura di Luca Bifulco, Vittorio Dini: Maradona. Sociologia di un mito globale — Ipermedium Edizioni — 2014

Tito Vagni: La teoria dei media e l’immaginario. Uno studio a partire da Edgar Morin — 2013

Edgar Morin: I divi — Mondadori — 1963

CREDITI

L’immagine di copertina è un’illustrazione di Bruna Pallante, dello studio grafico Motive.

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